Con una recente sentenza (dicembre 2021), il Tribunale civile di Perugia è tornato a pronunciarsi circa la nullità delle fideiussioni bancarie e sulle condizioni per la sua rilevabilità.
Tizio, socio al 50% di una S.r.l. e privo di incarichi amministrativi in seno ad essa, sottoscrive garanzia fideiussoria in favore di un istituto bancario, a garanzia delle esposizioni societarie con l’istituto.
Intervenuto il fallimento della società garantita, la banca attiva la propria garanzia fideiussoria nei confronti di Tizio, tramite ottenimento e notifica di decreto ingiuntivo, a cui Tizio si oppone avanti al Tribunale di Perugia, sostenendo la nullità della fideiussione, oltre alla circostanza di non essere mai stato informato dalla banca del costante e progressivo aumento dell’esposizione debitoria che la società garantita aveva contratto, fino alla decozione definitiva, in violazione dell’art. 1956 c.c.
Il giudice di merito perugino ha preliminarmente confrontato il contenuto della fideiussione oggetto del contenzioso con quanto stabilito dalla Delibera n. 55 del 2 maggio 2005 della Banca d’Italia (“ABI – Condizioni generali di contratto per la Fideiussione a garanzia delle operazioni bancarie”).
Come valutato dalla Banca d’Italia con detta delibera, l’uso standardizzato delle clausole di cui agli artt. 2 (clausola di reviviscenza), 6 (rinuncia ai termini di cui all’art. 1957 c.c.) e 8 (clausola di sopravvivenza) dello schema a suo tempo redatto dall’ABI per la redazione dei contratti fideiussori, a cui la quasi totalità delle banche si era allineata, non corrispondeva a un’esigenza di funzionalità con l’accesso al credito, diversamente da altre clausole non “sanzionate” dalla delibera, ma incideva, nella sua standardizzazione, su aspetti significativi del rapporto negoziale, ostacolando un equilibrato contemperamento degli interessi delle parti e inducendo, in tal modo, “le banche a uniformarsi a uno standard negoziale che prevede una deteriore disciplina contrattuale della posizione del garante” (delibera n. 55/2005 Banca d’Italia, art. 78).
Le clausole di sopravvivenza della fideiussione avevano (e hanno) l’unico scopo di “addossare al fideiussore le conseguenze negative derivanti dall’inosservanza degli obblighi di diligenza della banca, ovvero dall’invalidità, o dall’inefficacia dell’obbligazione principale, o degli atti estintivi della stessa” (delibera n. 55/2005 Banca d’Italia, art. 96), senza che tale finalità venisse contemperata da una particolare sua funzionalità nell’ambito dell’accesso al credito.
In altre parole, più che per un contenuto illecito in se’, l’utilizzo standardizzato di dette clausole da parte del mondo bancario in genere aveva comportato un adeguamento in peggio di condizioni contrattuali che invece, a norma di legge, avrebbero potuto concedere alla figura del garante una posizione meno pregiudizievole: da qui, la loro illegittimità ai sensi della legge n. 287/1990 (legge Antitrust).
Con tale provvedimento, pertanto, Banca d’Italia dichiarò la contrarietà alla normativa Antitrust degli articoli 2 (clausola di reviviscenza: il fideiussore è tenuto “a rimborsare alla banca le somme che dalla banca stessa fossero state incassate in pagamento di obbligazioni garantite e che dovessero essere restituite a seguito di annullamento, inefficacia o revoca dei pagamenti stessi, o per qualsiasi altro motivo”), 6 (“i diritti derivanti alla banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore, senza che essa sia tenuta ad escutere il debitore o il fideiussore medesimi o qualsiasi altro coobbligato o garante entro i tempi previsti, a seconda dei casi, dall’art. 1957 cod. civ., che si intende derogato”) e 8 (“qualora le obbligazioni garantite siano dichiarate invalide, la fideiussione garantisce comunque l’obbligo del debitore di restituire le somme allo stesso erogate”) dello schema contrattuale dei contratti di fideiussione omnibus a suo tempo predisposto dall’ABI, in quanto l’applicazione uniforme, da parte delle banche, delle tali clausole di “sopravvivenza”, “reviviscenza” e rinuncia ai termini di cui all’art. 1957 c.c., integrava gli estremi di un’intesa restrittiva della concorrenza.
La reviviscenza della garanzia dopo l’estinzione del debito principale, con l’impegno del fideiussore a tenere indenne la banca da vicende successive all’avvenuto adempimento, anche qualora il garante abbia confidato nell’estinzione della garanzia, trascurando, quindi, di tutelare le proprie ragioni di regresso, comporta conseguenze pregiudizievoli per il fideiussore, nel caso in cui l’obbligo di restituzione della banca sia determinato dalla declaratoria di inefficacia, o dalla revoca dei pagamenti eseguiti dal debitore, a seguito, ad esempio, di fallimento dello stesso.
La deroga all’art. 1957 c.c., che ha lo scopo di esonerare la banca dal proporre le proprie istanze nei confronti del debitore e del fideiussore entro il termine indicato dalla predetta norma, da’ luogo a un ingiusto vantaggio non tanto al debitore in difficoltà, quanto, piuttosto, alla banca creditrice, che in questo modo disporrebbe di un termine molto lungo, coincidente con quello della prescrizione del diritto di credito verso il garantito.
Si consideri che, nel caso in esame, la banca aveva incardinato l’azione monitoria verso il garante dopo esattamente un anno dalla scadenza dell’obbligazione principale, vale a dire ben oltre il termine di sei mesi previsto dall’art. 1957 c.c.
Infine, la clausola di sopravvenienza, che estende la garanzia anche agli obblighi di restituzione del debitore derivanti dalla invalidità del rapporto principale, rende la fideiussione insensibile rispetto ai vizi del rapporto debitorio principale.
Accertata la corrispondenza di dette clausole illegittime con quelle sottoscritte da Tizio, il Tribunale si è quindi pronunciato non solo per la nullità integrale della fideiussione, ma altresì ritenendo di dover escludere la sanzione della nullità parziale ex art. 1419 c.c. “per via della prevalenza di grado severo della violazione ascrivibile alla banca tale da intaccare i valori di solidarietà garantiti dall’art. 2 della Costituzione che tutelano e garantiscono il doveroso rispetto dei principi solidaristici in tutti i rapporti di diritto privato sia in fase pre-negoziale (art. 1137 c.c.) sia nella fase esecutiva del contratto in esame (artt. 1175 e 1375 c.c.)”.
Del resto, prosegue il giudicante, “sarebbe dovuta emergere in fase istruttoria la prova della circostanza secondo la quale la banca avrebbe dovuto sottoporre all’opponente anche un altro e diverso contratto di fideiussione epurato dalle predette tre clausole uniformi”.
Non soltanto tale rilievo istruttorio non è mai emerso nel processo in esame, ma ciò ha indotto il giudicante a ritenere che la nullità delle predette tre clausole abbia comportato la nullità dell’intero accordo in quanto, in mancanza di prova contraria, si è reso evidente che la banca non avrebbe mai concluso il contratto di fideiussione senza quella parte colpita da nullità.
Si è quindi trattato, secondo l’opinione del Tribunale di Perugia, “di un atto di per sé gravemente e oggettivamente privativo della libera concorrenza e ciò indipendentemente dallo specifico pregiudizio derivante”, in quanto tali clausole costituiscono “la estrinsecazione oggettiva e subitanea di una intesa illecita, ossia contraria al disposto dell’art. 2 della Legge n. 287/90 con ingiusta e sperequata limitazione dei modelli contrattuali che, invece, il sistema bancario, nella sua preponderante porzione di mercato, avrebbe potuto e dovuto liberamente offrire” all’opponente.
A nulla rileva, infine, la circostanza che l’opponente fosse socio della società garantita, pertanto in condizioni di poter conoscere, utilizzando gli strumenti messi a disposizione dall’ordinamento ai soci non rivestenti cariche amministrative, l’andamento economico/finanziario della garantita e, quindi, anche il progressivo aumentare delle sue esposizioni con l’istituto bancario, ritenendo di dover applicare la richiamata tutela a tutti i soggetti sul mercato.
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Sul rapporto tra obblighi informativi verso il socio-fideiussore e facoltà di quest’ultimo in tema di controllo societario, la sentenza in commento non si sofferma: si sottopone, comunque, qualche breve considerazione sul tema.
Per costante giurisprudenza di legittimità, difficilmente il socio, pur non amministratore, è stato liberato dalla fideiussione in favore della propria società, pur in assenza delle informazioni prescritte dall’art. 1956 c.c. (“Il fideiussore per un’obbligazione futura è liberato se il creditore, senza speciale autorizzazione del fideiussore, ha fatto credito al terzo, pur conoscendo che le condizioni patrimoniali di questo erano divenute tali da rendere notevolmente più difficile il soddisfacimento del credito”), dal momento che, per il tramite degli strumenti previsti dall’ordinamento in favore dei soci non amministratori, egli non può non conoscere la reale esposizione bancaria della società garantita, potendo ovviare, così, alla carenza informativa per responsabilità della banca.
Si consideri però che il fideiussore, in quanto tale, è sempre un soggetto legato a un rapporto di fiducia col debitore e, in quanto tale, egli è fisiologicamente a conoscenza delle sue condizioni patrimoniali.
Che si tratti di socio, o di mero famigliare, o altro, del socio o del legale rappresentante della società garantita, il fideiussore è un soggetto che, per la natura stessa dell’istituto, “orbita” nella sfera fiduciaria della garantita, all’interno della quale è realisticamente impensabile immaginare una totale assenza di cognizione dell’andamento finanziario della società per la quale ci si espone col proprio patrimonio personale (in dottrina, DE BIASE, in Banca borsa tit. cred., fascicolo 4, 2013, pag. 424).
Portando alle estreme conseguenze quanto normalmente sostenuto sul punto, si corre il rischio di disattendere del tutto la norma di cui all’art. 1956 c.c., svuotandola di senso.
Anche l’omesso l’esercizio, da parte dei soci, dei diritti di controllo sull’andamento societario, non implica affatto una conseguente liberazione, a favore della banca, da tutti quegli obblighi informativi e di verifica previsti.
L’art. 2476 comma 2 c.c., difatti, concede ai soci che detengono la minoranza e non partecipano all’amministrazione della S.r.l., un potere di controllo sulla gestione della società, mediante la facoltà di avere informazioni e notizie sullo svolgimento degli affari.
Ma la legge, appunto, ha messo a disposizione di tali soci un diritto, che bene sarebbe esercitare periodicamente, ma che non rientra, a rigor di logica e di normativa in materia, in alcun obbligo agli stessi ascritto.
Le responsabilità dirette dei soci di S.r.l. sono espressamente disciplinate dalle legge (si pensi ai soci che intenzionalmente decidono, o autorizzano, atti dannosi per la società, o alla particolare figura del socio unico): il mancato esercizio delle facoltà di controllo, al di la’ delle considerazioni di opportunità, non dovrebbe comportare profili ulteriori di responsabilità in capo a essi e, di conseguenza, non dovrebbe fungere da esimente – in tema di fideiussione bancaria – per quanto riguarda gli obblighi informativi in capo alla banca, di cui all’art. 1956 c.c.