Il sig. Franco ha disdettato, già da tempo, il contratto di telefonia mobile con una nota compagnia telefonica: eppure continuano ad arrivargli fatture con addebitati consumi e costi fissi non dovuti e così avanti per mesi; per un po’ il sig. Franco paga, poi si stufa e non paga più, fino a quando non si decide a sottoporre il caso a qualcuno che lo aiuti a uscirne.
La sig.ra Franca ha comprato un’autoveicolo di grossa cilindrata, che, a un certo punto, inizia a dare seri problemi tecnici: la riparazione del mezzo non porta a una soluzione del problema, forse c’è un difetto di fabbricazione, oppure il meccanico non ci ha capito molto: fare causa oppure no? E a chi?
Il sig. Franco e la sig.ra Franca esistono davvero (ovviamente non si chiamano così) e si sono rivolti a una delle organizzazioni a difesa dei consumatori presenti sul loro territorio.
La maggior parte delle associazioni a tutela dei consumatori tiene fede a determinate regole: a fronte del tesseramento annuale, viene, di norma, fornita una prima consulenza a titolo gratuito, con predilezione per le forme di tutela a impatto zero (per le tasche dei consumatori, non per gli effetti…), vale a dire, laddove è possibile, mediante ricorso alle camere di conciliazione paritetiche che le grandi aziende di servizi hanno istituito in collaborazione con le maggiori associazioni di consumatori; oppure, quando si tratta di telecomunicazioni, ricorrendo al CO.RE.COM., organismo di conciliazione pubblico a cui è, addirittura, obbligatorio rivolgersi prima di intraprendere le vie legali per problemi inerenti la telefonia o la televisione satellitare.
Inoltre, al fine di diffondere il più possibile una diversa cultura della risoluzione delle controversie, alcune associazioni a tutela dei consumatori hanno deciso di fare uso sistematico della cosiddetta mediaconciliazione, istituto introdotto dal decreto legislativo n. 28/2010, il quale prevede la possibilità di ricorrere a un ente di mediazione accreditato, a costi predeterminati e con alcune agevolazioni, per tentare di risolvere la controversia in maniera bonaria, prima di accedere alla giustizia ordinaria, con la speranza di ridurre i costi e i tempi di soluzione, nonché di sgravare i tribunali dagli eccessivi carichi di lavoro che li affliggono.
Il tentativo di mediazione, salvi i casi di obbligatorietà previsti dalla legge, è di norma facoltativo e, comunque, le parti sono sempre libere di non aderire a una soluzione condivisa e di andare, quindi, dal giudice ordinario.
Come è andata a finire per i nostri Franco e Franca?
Il sig. Franco e la compagnia telefonica: l’associazione ha attivato la camera di conciliazione paritetica con la compagnia telefonica, la quale, nell’unica riunione che si dovuta tenere, ha ammesso pacificamente l’errore e l’illegittimità degli addebiti, proponendo non solo il doveroso rimborso delle fatture ingiustamente pagate, ma anche il versamento aggiuntivo di una sommetta a titolo di indennità per il disturbo arrecato.
Quanto ha pagato il sig. Franco per avere ragione? La risposta è zero.
La sig.ra Franca e l’auto difettosa: dopo una prima (inutile) diffida inoltrata alla casa di produzione del veicolo, nonché all’autofficina che aveva effettuato la riparazione, l’associazione ha attivato la procedura di mediazione davanti all’organismo preposto presso la Camera di Commercio; la casa di produzione ha glissato, ma l’officina ha aderito all’invito, esponendo le proprie ragioni in maniera tecnicamente dettagliata e manifestando il proprio netto rifiuto a pagare anche un solo centesimo di risarcimento.
Grazie anche ai ”buoni uffici” del mediatore, la sig.ra Franca ha ottenuto un trattamento di favore (un considerevole sconto su manodopera e pezzi di ricambio) da parte dell’officina, fino a quando ella guiderà dei mezzi prodotti da quella determinata casa di produzione; non proprio un risarcimento danni diretto, ma comunque una soluzione onorevole che darà i suoi frutti nel tempo e che ha evitato un giudizio costoso, lungo e dagli esiti incerti (si trattava di capire, infatti, dal punto di vista tecnico, quel che era accaduto al mezzo: questo avrebbe voluto dire perizie, controperizie, ecc.).
Costi sopportati dalla sig.ra Franca: gli stessi del sig. Franco.
Tra l’altro, in questo caso i costi per l’introduzione del procedimento di mediazione sono stati rimborsati dall’officina, su accordo delle parti.
Per entrambi i casi: costo zero, tempo d’attesa ridotto a uno/due mesi.
Alcune considerazioni in merito.
Sulla mediazione:
si stanno sempre più diffondendo protocolli di intesa tra enti di mediazione e associazioni a tutela dei consumatori, volti al contenimento dei costi per l’accesso a tale istituto; la tempistica, inoltre, non è sicuramente paragonabile a quella di un qualsiasi organo di giustizia; certo, la nostra officina di cui sopra avrebbe potuto benissimo decidere di non aderire all’invito del mediatore, in quanto l’adesione al procedimento non è obbligatoria; inoltre, non è detto che in tale sede si raggiunga sempre un accordo…
E’ anche evidente che tale strumento, se mal gestito, può divenire un inutile surplus di tempo e denaro perso, in attesa della “classica” sentenza; ma quante sono le piccole grandi ingiustizie che affliggono i cittadini, di valore economico non eccezionale, ma che ugualmente compromettono la serenità e il vivere quotidiano? Incentivare una possibilità, più economica e più rapida, di veder risolte queste piccole “grane”, non sarebbe un gesto di grande civiltà, prima ancora che di giustizia?
Recenti statistiche hanno evidenziato l’esistenza di una sorta di “soglia psicologica” di remissività del cittadino comune di fronte a veri o presunti abusi in proprio danno, di fronte ai quali, per questioni di valore economico aggirantesi intorno ai 500/600 euro (se vi sembran poche…) pare subentrare una sorta di remissività, di rinuncia a cercare tutela per le vie canoniche.
La “macchina” della mediazione ha, forse, ancora molti chilometri da percorrere per arrivare all’obiettivo: ad iniziare dai costi che, specie per questioni di valore rilevante, non sono sempre bassissimi; si potrebbe, inoltre, utilizzare tale istituto, ad esempio, per tutta una serie determinata di controversie e in forma obbligatoria e non più facoltativa, con le opportune riforme legislative e finanche costituzionali; si potrebbe porre maggiore attenzione alla formazione dei mediatori in rapporto alla materia del contendere; si dovrebbero, insomma, porre in essere tutti quei correttivi che potrebbero scaturire da una riflessione di alto livello tecnico sull’argomento, senza preconcetti.
Sulle camere di conciliazione:
un segno dell’evoluzione nel rapporto grandi aziende/consumatori (anche sulla spinta della sempre maggiore sensibilità del legislatore sul tema) è data dal numero di organismi paritetici di conciliazione sorti, specie nei settori “sensibili” delle telecomunicazioni e della fornitura di energia.
Per le associazioni è un’opportunità, per le aziende è un obbligo, ma anche un investimento: perché abbattono i costi giudiziari e perché ne guadagnano sicuramente in immagine, mostrandosi in una maniera più trasparente nei confronti dei consumatori.
Il sistema funziona se le associazioni di consumatori, che, per vocazione, per prime devono occuparsene, ne diffondono l’utilizzo; se diffondono, cioè, la conoscenza di questi strumenti (conciliazione paritetica e mediazione, quest’ultima con i suoi vantaggi anche fiscali) e della possibilità di ricorrervi senza dover fare salti “nel buio” per costi, tempi d’attesa, ecc.
Questo perché, sia detto molto prosaicamente, la gente non ne è a conoscenza e, nel timore di patire la beffa oltre al danno, rimane inerte e subisce; e questa è una delle principali responsabilità di cui devono farsi carico le associazioni di consumatori, sfruttando tutti i mezzi di comunicazione a disposizione, social network compresi.
Strumenti, sia ben chiaro, che sono nella disponibilità anche della libera avvocatura con la propria innegabile professionalità, potendo, in tal modo, fornire un’assistenza legale più “agile” ai propri clienti, anche per quelle questioni che, di solito, fanno cadere le braccia al cittadino in segno di resa.
Un’ultima annotazione che potrà sembrare banale: tale sistema non funziona se si ha completamente torto.
Chi ha esperienza di tutela dei consumatori sa quante persone adducono motivazioni e argomenti a dir poco “strampalati”, o di interesse pari a zero, volti, per lo più, a dare libero sfogo a personali frustrazioni, fino ai seppur rari casi-limite di coloro che, lungi dall’essere stati danneggiati, vogliono pure indebitamente lucrarci qualcosa in indennizzi.
Altra funzione delle associazioni, quindi: quella di “educatrici”.